Che cosa significa davvero avere relazioni sane?
Spesso sentiamo parlare di autenticità, di essere sé stessi con gli altri, ma nella pratica non è sempre così semplice. Nella vita quotidiana indossiamo maschere invisibili: modi di fare, atteggiamenti o piccole finzioni che usiamo per sentirci accettati, evitare conflitti o proteggere parti di noi che temiamo possano essere giudicate.
Le relazioni più autentiche, però, nascono proprio quando riusciamo a mettere da parte queste maschere e a mostrarci per come siamo davvero: con i nostri punti di forza, le nostre fragilità e tutto il mondo emotivo che ci abita.
Essere autentici non significa essere perfetti o sempre sicuri di sé. Significa concedersi di essere visti e ascoltati, anche quando ci sentiamo vulnerabili.
Come riconoscere una relazione sana
Una relazione diventa davvero nutriente quando:
- La comunicazione è aperta e rispettosa.
Possiamo esprimere emozioni e opinioni senza aver paura di essere giudicati. - I confini sono chiari.
Sappiamo dire “sì” e “no” in modo coerente con i nostri bisogni, senza sentirci egoisti o sbagliati. - C’è reciprocità.
Dare e ricevere trovano un equilibrio, senza che uno dei due si annulli per l’altro. - C’è libertà di essere sé stessi.
Non abbiamo bisogno di indossare maschere o di nascondere parti importanti di noi.
Una relazione sana non elimina i conflitti: semplicemente ci insegna a viverli con più empatia, ascolto e collaborazione.
E tutto parte dal modo in cui stiamo in relazione con noi stessi: dal riconoscere i nostri bisogni, le nostre emozioni e i nostri limiti, e dal saperli accogliere senza giudizio.
Un piccolo esercizio pratico
Puoi esercitarti con un semplice esercizio di consapevolezza:
- Prendi un foglio o un diario.
- Scrivi le relazioni più importanti della tua vita.
- Accanto a ciascuna, rispondi a queste domande:
- In quali momenti mi sento libero/a di essere me stesso/a?
- Dove sento di indossare una “maschera”? E perché?
- Che cosa potrei fare per sentirmi più autentico/a in questo legame?
A volte basta anche un piccolo gesto di autenticità per aprire un nuovo spazio nella relazione.
Una riflessione psicologica
Molte persone temono di mostrarsi come sono davvero per paura del rifiuto.
Eppure, la trasformazione nelle relazioni comincia proprio dal riconoscere che:
- la vulnerabilità è una forza, non una debolezza;
- mostrarsi autentici crea fiducia e intimità;
- ogni relazione si nutre quando impariamo a conoscere e rispettare noi stessi.
Più diventiamo coerenti con ciò che siamo, più creiamo legami in cui anche gli altri si sentono liberi di fare lo stesso.
Le relazioni sono un percorso che si costruisce giorno dopo giorno, attraverso attenzione, ascolto e cura.
Ogni incontro – anche quelli che ci mettono alla prova – può insegnarci qualcosa su di noi e sul modo in cui scegliamo di volerci bene.
Quando impariamo a osservarci con cura, diventiamo anche più capaci di riconoscere quei comportamenti che possono rendere una relazione meno sana.
Relazioni sane: perché non esistono persone “tossiche” in senso assoluto
Spesso parliamo di “persone tossiche” come se fosse un’etichetta immutabile, quasi un’identità. In realtà, nessuno è tossico o sano in modo assoluto. Può capitare a chiunque – in particolari momenti della vita o dentro certe relazioni – di mettere in atto comportamenti tossici, spesso senza accorgersene.
Riconoscerli non significa giudicarsi, ma aprirsi alla possibilità di crescere.
Relazioni sane: i segnali di tossicità da riconoscere in sé e negli altri
Ecco alcuni segnali di tossicità che possiamo notare in noi stessi o negli altri, e che vale la pena imparare a superare.
- Avere sempre bisogno dell’ultima parola.
Quando qualcuno non è d’accordo con te, ti senti messo in discussione e fai fatica ad accettare punti di vista diversi. - Usare la critica più come sfogo che come aiuto.
A volte il “feedback sincero” è in realtà un giudizio mascherato. - Fare leva sul senso di colpa per ottenere qualcosa.
Frasi come “dopo tutto quello che ho fatto per te…” ne sono un esempio evidente. - Provare fastidio per il successo degli altri.
Invece di ispirarti, ti porta a sminuire o a pensare che non lo meritino. - Vivere i limiti altrui come un attacco personale.
Un semplice “no” viene interpretato come rifiuto e non come espressione di autonomia. - Parlare spesso male di chi non è presente.
Il pettegolezzo può far sentire inclusi o superiori, ma mina la fiducia. - Svalutare le emozioni degli altri.
Espressioni come “non è niente” o “sei troppo sensibile” finiscono per invalidare l’esperienza altrui. - Offrire affetto in modo condizionato.
Se l’altro non si comporta come vorresti, rispondi con freddezza, distanza o silenzi. - Mettersi sempre nel ruolo della vittima.
La responsabilità ricade sempre su ciò che accade fuori, mai su ciò che si contribuisce a creare. - Cercare approvazione in modo continuo.
Ti affatichi per piacere agli altri, ma poi li giudichi se non ti restituiscono lo stesso impegno. - Manipolare attraverso la fragilità.
Mostri più debolezza di quanta ne senti per trattenere l’altro vicino a te. - Non saper dire di no, salvo poi lamentarsi.
Accetti tutto, ma internamente accumuli risentimento. - Usare il silenzio come punizione.
Quando sei arrabbiato/a, ti chiudi senza spiegare cosa provi. - Controllare o soffocare con troppa attenzione.
Telefonate continue, domande insistenti: non è cura, ma ansia che prende il sopravvento. - Rinvangare spesso il passato.
Anche dopo aver “perdonato”, riporti a galla vecchi errori. - Avere bisogno di essere sempre al centro.
Fai fatica a gioire sinceramente per qualcosa che non ti riguarda direttamente. - Far finta che vada tutto bene, ma accumulare tensione.
Il disagio non viene espresso, finché non esplode nel momento meno opportuno. - Ascoltare poco e male.
Interrompi, dai consigli non richiesti, riporti subito tutto su di te. - Sminuire gli altri per sentirti meglio.
Anche solo con sarcasmo o battute, cerchi di ridurre l’altro. - Voler cambiare chi ti sta vicino.
Invece di accettare la persona per ciò che è, la immagini come dovrebbe essere per te.
Riconoscersi in uno o più di questi comportamenti non è un segno di fallimento.
Al contrario: significa avere il coraggio di guardarsi con sincerità.
Ed è proprio da qui che comincia il lavoro più importante: coltivare consapevolezza, responsabilità emotiva e un dialogo interiore più maturo.
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Studio di psicologo e psicoterapeuta a Thiene Vicenza • Dott. Pisanello
BIBLIOGRAFIA
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Goleman, D. (1995). Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ. Bantam.
Sapolsky, R. M. (2017). Behave: The Biology of Humans at Our Best and Worst. Penguin Press.
Wolpe, J. (1990). La pratica della terapia comportamentale (4a ed.). New York: Pergamo.
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